mercoledì 26 novembre 2008

COMUNICATO STAMPA PD AREA TEMATICA DISABILITA' E DISAGIO SOCIALE


AREA TEMATICA DISABILITA’ E DISAGIO SOCIALE

Nell’ambito della sua programmazione, il Partito Democratico ha pensato di dare uno spazio importante ad un settore sociale particolarmente complesso ed articolato. L’area tematica che abbiamo voluto aggiungere alla nostra programmazione è quella della “Disabilità e del Disagio Sociale”.
Si è pensato infatti che la problematica sociale rappresentata dalla disabilità, nonché dalle molteplici forme di disagio sociale, non ha ancora trovato strumenti idonei in grado di fornire risposte concrete per mitigare la drammatica situazione in cui vivono moltissimi cittadini.
Se poi consideriamo che gli effetti disastrosi che la crisi economica mondiale sta producendo, soprattutto a danno delle fasce più deboli della società, allora ci rendiamo conto quanto possa essere importante confrontarci su questo delicato tema per ricercare nuove azioni a difesa dei più deboli.
La complessità del mondo della disabilità e del disagio si coglie nelle sue variegate forme espressive, che possiamo conoscere mediante coloro che vivono direttamente lo svantaggio.
Se poniamo “L’Uomo” al centro di ogni azione e se lo consideriamo anche come soggetto attivo, in grado dare il proprio contributo per la crescita della società in cui vive, allora capiremo bene quanto sia importante ricercare strumenti sempre più idonei per dare risposte alle istanze provenienti dai più svantaggiati.
In questa realtà non soltanto esiste un aspetto assistenziale del disagio, caratterizzato da una crescente richiesta di servizi, di strutture residenziali, di sostegni alla famiglia e di strumenti di socializzazione, ma esiste anche aspetto della realtà fatto di integrazione, che si esprime in una forte volontà di voler essere maggiormente coinvolti in azioni e processi produttivi e socializzanti. Se è vero che molto è stato fatto per migliorare lo status di molti cittadini disabili, è altrettanto vero che molto ancora c’è da fare, specie nell’abbattimento di molte barriere fisiche e psicologiche presenti nella nostra società.
La normativa prodotta negli ultimi anni dai vari governi è molto varia e frammentata; manca una legge quadro che faccia sintesi della produzione normativa, e ciò spesso rappresenta un forte limite alla loro applicazione.
Il nostro obbiettivo principale sarà quello di formulare proposte operative che vedano tutti gli operatori sociali e tutte le forze produttive convergere verso l’obbiettivo comune di migliorare la vita dei più svantaggiati.
Esistono mezzi e strumenti, non attuati, che possono garantire, anche a livello locale, un salto di qualità della società intera e della vita dei singoli svantaggiati e/o disagiati.
Inoltre lavoreremo per proporre una semplificazione normativa in grado di garantire una più corretta applicazione dei dispositivi di legge.
Infine, formuleremo proposte a tutte le amministrazioni locali allo scopo di tentare di mitigare il disagio dei nostri concittadini coinvolti, e di favorirne la reale integrazione.

IL RESPONSABILE DELL’AREA
Giovanni Brafa
IL VICE COORDINATORE PROVINCIALE
Tuccio Di Stallo
Caro Tuccio, mi dispiace di non essere stata presente ma l'appuntamento di lavoro quel giorno si è prolungato di molto.
Comunque, condivido ciò che avete detto ed eprimo la mia opinione:
“Non più e non solo dichiarare i diritti delle persone con disabilità ma esigerli; non più e non solo superamento delle barriere architettoniche ma innanzitutto di quelle culturali”: questa è la sintesi della mia posizione.“L’impegno dei governi, a qualsiasi livello è di rendere esigibili tali diritti, creando le condizioni culturali e sociali per costruire pari opportunità. Vale a dire che le politiche per le persone con disabilità devono essere pensate e realizzate all’interno delle politiche generali, rivolte a tutti i cittadini, creando le condizioni di parità e di risposta alle esigenze specifiche delle persone con disabilità. Ad esempio nella costruzione degli edifici non si deve più parlare di eliminazione delle barriere architettoniche; ma è necessario progettare e realizzare edifici accessibili a tutti, anche alle persone che temporaneamente o stabilmente si trovano nella condizione di disabilità.
Le prime barriere che portano all’esclusione sociale e alla discriminazione sono innanzitutto le barriere culturali. Ne consegue allora che l’integrazione sociale si realizza attraverso interventi finalizzati a eliminare la discriminazione sociale, a incentivare le azioni positive, favorendo in tutti i modi la partecipazione attiva delle persone ai processi e ai percorsi di cui loro stessi sono i primi destinatari”.

Il tema sulla disabilità e sul disagio sociale è vasto e complesso, per non dire delicato, ma noi insieme dobbiamo creare un progetto volto a garantire i diritti dei disabili e volto sopratuttoalla sensibilizzazione del tema in questione. Quindi dobbiamo occuparci di sviluppare alcuni punti fondamentali ed essenziali creando un progetto specifico. Un progetto che potremmo chiamare "Lo so chi ci sei"....:

  1. Disabilità adulta e nascosta: gli obiettivi del progetto
    Il percorso del progetto "Lo so che ci sei" deve proporre un metodo e un percorso
    di buona prassi per rilevare il disagio sommerso. Il suo principale obiettivo è
    quello di condurre e produrre un cambiamento, nel significato di “educare”,
    ovvero stimolare una riflessione, incidere concretamente sul disagio esistente e
    attivare pratiche di intervento innovative.
  2. Rafforzare il volontariato, le sue “competenze” e il suo ruolo.
    Un primo obiettivo del progetto va nella direzione di rafforzare il
    volontariato, partendo dall'assunto che soltanto un volontariato competente,
    formato e consapevole del proprio ruolo, delle proprie possibilità e dei propri
    limiti, sia davvero capace di interventi efficaci e proficui.
    Il volontariato maturo é infatti collaborativo e capace di interagire in
    modo costruttivo con i Servizi, evitando di cadere nell'errore
    dell'autoreferenzialità, interagendo con gli operatori degli enti titolari dei servizi
    sociali e sanitari, nei confronti dei quali assumere un ruolo il più possibile
    complementare e il meno possibile di sostituzione.
    Affinché la collaborazione sia positiva ed efficace dev'esserci una
    conoscenza stretta e propositiva, al di là di ogni possibile divergenza, anche tra i
    volontari delle diverse realtà di un medesimo territorio, capaci di unirsi per
    affrontare un problema comune.
  3. Ragionare sui bisogni della disabilità e delle loro famiglie
    Un secondo obiettivo specifico del progetto é quello di esaminare la
    situazione del disagio vissuto da persone e famiglie con figli disabili. Questo
    significa ragionare su vissuti, sentimenti di vergogna e di colpa, depressione,
    frustrazione e rabbia che possono accompagnare, nei diversi momenti del
    proprio percorso di vita, le persone disabili e i loro famigliari.
    Occorre concentrare l'attenzione anche sugli aspetti specifici
    dell'interazione con la società, a partire dall'infanzia fino alla scuola e
    all'inserimento possibile nel mondo del lavoro, conoscendo i vari bisogni che
    emergono nei diversi momenti.
    Si ha la necessità di soddisfare bisogni di diverso tipo e che si possono
    disporre in scala gerarchica, in ordine di importanza “crescente”:
     bisogni fisiologici (alimentazione, vestiario)
     bisogni di sicurezza (integrità, salute)
     bisogni sociali (relazione, affetti)
     bisogni di stima (competenza, approvazione, riconoscimento)
     bisogni cognitivi (studio, comprensione della realtà, pensiero)
     bisogni estetici (ordine, bellezza)
     bisogni di autorealizzazione (soddisfazione, sviluppo di sé)
    La conoscenza e la progettazione su un soggetto sociale deve partire da
    un'iniziale fotografia dei suoi bisogni, e tale “scala” può essere uno strumento
    adeguato quale base di partenza.
    Il volontario deve comprendere la difficoltà nell’esternare i bisogni e le
    differenze che possono esistere nelle persone disabili, per capire i quali è
    necessario un atteggiamento particolare, come riporta questa esperienza da
    parte di altri volontari :
    “…non si chiede ad un disabile, soprattutto mentale, cosa desidera, quali sono
    le sue aspettative, dove vuole andare, cosa vuole fare, chi vuole incontrare:
    spesso si pensa implicitamente che un handicappato non possa sapere cosa
    vuole, occorre che altri glielo spieghino. Non stupisce che ne derivino processi
    di infantilizzazione, che fanno regredire a stadi di capriccio o di
    accondiscendenza passiva.”
    Comprendere i vissuti e essere capaci di interagire in modo proficuo non é un
    compito facile, ma allo stesso tempo é un obiettivo al quale ci si può avvicinare.
  4. Favorire una relazione tra territorio e persone con disabilità
    Un terzo obiettivo é quello di facilitare e rendere possibile la nascita di
    relazioni tra i volontari di associazioni diverse di uno stesso territorio, iservizi sociali e i destinatari dei servizi, affrontando un problema comune che li riguarda tutti, in quanto cittadini che abitano e condividono gli stessi spazi e gli stessi luoghi.
    La relazione deve nascere inoltre tra i volontari e i disabili e i loro
    famigliari. Appare una sfida oggi particolarmente difficile e quindi tanto più
    urgente, considerando la tendenza delle persone a occupare il tempo libero
    all'interno delle proprie abitazioni e a prestare una notevole attenzione alla
    “difesa” della propria privacy. Le relazioni sul territorio sono peraltro in rapida
    trasformazione, come testimonia la scarsa importanza assunta dai legami di
    prossimità, per cui oggi é “normale” instaurare relazioni che non tengono conto
    dello spazio e delle distanze.
    Le relazioni di vicinato, nondimeno, rivestono una notevole importanza
    per le stesse pratiche di cura e la loro assenza si ripercuote soprattutto sulle
    fasce più deboli della popolazione: “le modalità della convivenza sono cambiate,
    le persone instaurano legami sociali a distanza, basati sulla condivisione di ideali
    ed esperienze piuttosto che sulla contiguità spaziale e sui contatti di quartiere e
    questo pone i soggetti più deboli ulteriormente ai margini della società e della
    vita di relazione nella comunità........ Il territorio rappresenta sia il luogo di
    intervento per un'ipotetica azione risocializzante, sia un contenitore di risorse
    naturali che possono essere attivate al fine di mantenere l'utente nella propria
    rete di appartenenza e fare in modo che da questa venga positivamente
    sostenuto” .
    Pensare alle comunità locali come promotrici di benessere significa
    peraltro affrontare il concetto stesso di comunità, per molti ormai desueto e
    inapplicabile:
    “Assistiamo oggi ad un generale depotenziamento delle reti fondate sulla
    condivisione e sulla prossimità territoriale e lavorativa, mentre sopravanzano le
    reti caratterizzate dalla complementarietà. Il più delle volte ci troviamo a fare i conti con un contesto in cui è prevalente la cultura del frammento e della separazione: il territorio non esprime una cultura di comunità, non é vissuto e non si manifesta come soggetto collettivo.
    Inoltre, il territorio non esprime un'unica comunità indistinta, ma esistono le
    sotto comunità o delle comunità di settore che vanno dalla famiglia,
    all'associazione di volontariato, al condominio, alla parrocchia, all'impresa
    artigiana, all'azienda, al servizio del territorio, ecc. L'obiettivo da perseguire appare essere quindi quello di favorire, laddove possibile, la nascita di una “rete” fatta da persone che vivono sul territorio, capace di interagire tra loro, vedere e conoscere il proprio contesto, per dare risposte tempestive alle diverse forme di disagio, immediatamente visibili o
    nascoste.
    Favorire la nascita della relazione significa essere sicuri che i volontari
    abbiano una “preparazione”, una forma mentis - intesa soprattutto come
    capacità di ascoltare - tale da permettere di accogliere e comprendere appieno i
    disagi e i vissuti delle famiglie, ed instaurare una valida relazione di vicinato o di
    prossimità.
  5. Quantificare i numeri della disabilità
    L'obiettivo di conoscere i numeri del disagio nascosto é certamente
    secondario nel progetto; nondimeno, i dati raccolti possono fornire
    certamente utili indicazioni da un punto di vista quantitativo.
    Si propone di scrivere “nero su bianco” le situazioni di disagio
    conosciute in ciascun territorio, quale modalità, in primo luogo, capace di
    attivare un percorso di riflessione e di crescita (empowerment) del volontariato
    stesso. Allo stesso tempo, tuttavia, le informazioni raccolte sul disagio possono
    essere aggregate e diventare un modo per ottenere indicazioni di più ampio
    raggio.
    Sintetizzando i dati, anonimi e in forma aggregata, si ottengono preziose
    informazioni circa la qualità della vita e sulle situazioni familiari più a rischio,
    capaci di instaurare una relazione di aiuto. I dati più rappresentativi ed esaustivi
    di alcuni Comuni possono anche permetterci di proporre stime indicative ad un
    livello più ampio.
    Le disabilità e le situazioni di disagio che restano nascoste oggi scontano il
    problema di non essere facilmente quantificabili e di essere quindi soggette a
    valutazioni prevalentemente qualitative. Si tratta, comprensibilmente, di una
    rilevante carenza nell'ottica di predisporre i servizi sul territorio, poiché non si
    conosce il numero complessivo di disabili né tantomeno un'opportuna
    suddivisione per fasce di età, per Comune di residenza o per tipologia di disagio.
    Risultano inoltre assenti i numeri per ragionare sui vissuti quotidiani e su altre
    problematiche, che i disabili e loro famiglie devono affrontare.
    L'assenza di dati certi nel settore delle disabilità é tuttavia un problema
    noto da molti anni e riguarda l'intero territorio nazionale. Recentemente l'ISTAT
    ha cercato di affrontare l'argomento con un'indagine specifica. I risultati su scala
    nazionale sono tuttavia poco interessanti, poiché attualmente le informazioni
    desumibili dalle certificazioni non sono utilizzabili per vari motivi, quali la
    complessità della materia di cui si tratta, l'assenza di coordinamento nel
    territorio, la non uniformità delle definizioni utilizzate, l'assenza di
    informatizzazione di dati e, più in generale, di un progetto di analisi e di utilizzo
    degli stessi. La grande maggioranza delle certificazioni, infatti, é solo su
    supporto cartaceo, ed é perciò impossibile fare analisi e approfondimenti sui
    dati.
  6. Far emergere e denunciare il disagio nascosto
    Un altro obiettivo del progetto potrebbe essere quello di lavorare per l'emersione del
    disagio “nascosto”, ovvero sulle situazioni di persone, disabili e famiglie, che
    vivono in solitudine la disabilità.
    Il numero di situazioni poco conosciute, sia da parte dei Servizi ma
    soprattutto da parte dei cittadini, a partire talvolta dagli stessi vicini di casa,
    appare essere relativamente elevato. In molti casi le famiglie che convivono con
    il disagio si sono “chiuse”, per effetto di un graduale processo che le ha portate
    ad isolarsi e a concentrare l'attenzione nella convivenza con la persona che vive
    il disagio, come può essere il figlio disabile. La compresenza di sentimenti di
    vergogna, di sensi di colpa, frustrazione e rabbia, unitamente all'assenza di
    opportunità concrete per un’integrazione sociale soddisfacente, sono all'origine
    di un atteggiamento che rende difficile costruire relazioni significative da parte
    delle famiglie.
    Nel caso delle persone disabili, esse vivono per la maggior parte della loro
    vita seguite dai servizi sociali e sanitari competenti, anche se una parte non
    trascurabile vive il proprio disagio in solitudine, seguita in modo insufficiente e
    in qualche modo, per dirla con le parole stesse di alcuni famigliari, “dimenticati
    dalla società”, ovvero dai servizi e dalla società civile, dai concittadini, dai
    compaesani.
    Tali considerazioni sono confermate da altre esperienze: “Il tema
    fondamentale che caratterizza le biografie di soggetti in condizione di grave
    marginalità è il contesto di abbandono. Questa caratterizzazione trova due
    direzioni, la prima è rivolta alle dinamiche relazionali, mentre la seconda fa
    riferimento alla percezione che il soggetto ha di se stesso” . Il percorso di progressivo isolamento può essere lento e comincia “quando
    i ragazzi disabili terminano la loro presenza nel sistema dell’obbligo scolastico,
    dopodiché si pongono significativi problemi legati alla qualità della loro vita
    relazionale e sociale, dalla gestione della quotidianità alla ricerca di fruizione di
    spazi di vita più sociali (come l’andare al mercato, in un locale pubblico, in un
    negozio, ecc.). Tutto tende a ricadere sui genitori, e in particolare sulla madre,
    limitando potenzialità, sovraccaricando persone, rischiando di portare alla
    richiusura e all’isolamento microsistemi familiari.
    Questo riguarda sia le disabilità dalla nascita sia le forme di disagio
    acquisite nel corso della vita, quali possono essere le disabilità dovute ad un
    evento traumatico, come conseguenza, ad esempio, del verificarsi di un
    incidente automobilistico o sul lavoro:
    “Chi è stato sano e poi diventa 'meno abile' si percepisce finito. Il venire
    meno dell’efficienza del corpo in una società come la nostra è drammatico.
    Queste disabilità sono tra quelle forse meno visibili sul territorio, meno
    manifeste, proprio perché subentrano in età giovanile, adulta o anziana, e chi
    ne è toccato è anche al di fuori dai circuiti che favoriscono o forzano una
    relazionalità, quali ad esempio quelli scolastici.
    Chi ha un handicap che sopraggiunge in età giovanile o adulta perviene
    ai servizi specialistici della riabilitazione seguendo strade più individuali, e
    anche la sua fruizione di questi servizi è di tipo individuale, spesso isolata da
    circuiti relazionali. Il rapporto con i servizi sociali è spesso di tipo funzionale,
    per il fatto che chi ha malattie o traumi invalidanti in genere vi si rivolge per
    ottenere sussidi o per motivi normativi e la relazione rischia di fermarsi su
    questo.
    Così, alla riposta tecnica o tecnico riabilitativa, in molti casi anche
    molto avanzata, corrispondono spesso molti percorsi affrontati in solitudine di
    ricostruzione di una nuova prospettiva di vita affettiva, sociale, lavorativa.
    Anche la disabilità legata alla malattia mentale fa fatica a manifestarsi
    sul territorio. Resta chiusa dentro i circuiti della famiglia o dei servizi
    specialistici. Dimensioni quali la vergogna, lo stigma, la paura di noncontrollabilità
    delle situazioni giocano ancora un ruolo forte nel rendere
    difficile il vivere queste disabilità entro circuiti più relazionali.”.
    Rilevare le disabilità “nascoste” di tipo fisico e mentale sul proprio
    territorio può allora essere il primo passo da compiere per far uscire allo
    “scoperto” situazioni di solitudine e di isolamento, proprie di quelle persone che
    vivono un disagio e delle loro famiglie.
  7. Preparare al “dopo di noi”
    Un ultimo obiettivo specifico é quello di sensibilizzare sul tema dell'inevitabile separazione del figlio disabile dai propri genitori. Questo evento dev'essere vissuto con serenità, ed affinché sia il meno possibile traumatico, occorre una preparazione che deve avvenire
    necessariamente quando i genitori sono ancora vivi, “durante il noi”.
    Il tema é sempre più attuale in quanto, oggi più che un tempo, un numero
    sempre maggiore di disabili raggiunge l’età adulta e anche la vecchiaia. Questo
    significa “l’individuazione di un problema: il 'dopo di noi', che riguarda la vita di
    un soggetto sopravvissuto ai genitori. Un problema, o un tema, che non
    dovrebbe essere affrontato improvvisamente, al momento della perdita
    parentale. Questa prospettiva ha bisogno di essere confortata lungo tutto un
    percorso che veda la possibilità di avere e valorizzare una rete sociale attiva,
    non solo spontanea o spontaneista ma anche professionale, tale da permettere
    di prospettare un percorso per tutta la vita, attivando delle attenzioni in questa
    prospettiva”.
    Ragionare sul 'dopo di noi' significa allora porsi l'obiettivo di effettuare un
    intervento di 'prevenzione secondaria', agendo sulle reti di vicinato: “I membri
    delle reti vivono in effetti una permanenza nel tempo e una prossimità fisica e
    affettiva che permette loro di percepire i sintomi ben prima degli operatori e di
    collaborare con essi. l'operatore dovrà identificare le situazioni a rischio e
    lavorare con le reti su tre registri:
    -sensibilizzare le reti in merito ai rischi e ai pericoli presenti;
    -far maturare il loro senso di responsabilità nei confronti di tali rischi e
    pericoli;
    -far emergere una vigilanza collettiva.
    Anche in questo caso, quindi, le reti di vicinato e di prossimità hanno un'
    importanza particolare, poiché si chiama in causa la loro competenza che
    proviene dalla loro stabilità e permanenza nello stesso ambiente delle persone
    in difficoltà” .

Non dimentichiaoci, inoltre, che è importante fare l'analisi per l’integrazione dei servizi volti alla prevenzione o alla riduzione del disagio sociale dei giovani utenti del sistema dell’istruzione e della formazione. IBisogna coinvolgere istituti scolastici e centri di formazione differenti, avendo come primo obiettivo l’analisi della situazione esistente sul territorio, caratterizzato dalla presenza di numerose iniziative relative a questi temi, condotte però in maniera non integrata e quindi con un elevato rischio di spreco di risorse e di mancata patrimonializzazione dei risultati,
ma devono essere realizzate con metodologie affini, in maniera da garantire la condivisione dei risultati, anche attraverso tavoli di confronto periodici coordinati, tra i servizi sociali e le istituzioni coinvolte. Le aree tematiche potrebbero essere in riferimento ai seguenti campi d’azione:
- orientamento-riorientamento-dispersione;
- stranieri (accoglienza e processi inclusivi);
- il disagio giovanile;
- la scuola aperta.

Questo è un progetto che presenterò sicuramente come argomento di Tesi... potrebbe essere utile!!!!

Valentina Spata

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