giovedì 19 luglio 2012

Paolo Borsellino, VIVE!! A vent'anni dalla sua morte.









"Palermo non mi piaceva, per questo ho imparato ad amarla. Perché il vero amore consiste nell'amare ciò che non ci piace per poterlo cambiare". Paolo Borsellino. 


In questi vent'anni abbiamo imparato ad amare la nostra terra anche per le cose che non ci piacevano, ma soprattutto abbiamo sperato di conoscere la verità sulle stragi di mafia e di ricevere giustizia per i nostri eroi che restano vivi nella nostra mente, nei nostri cuori e nelle nostre vite. 
Ancora aspettiamo!! 



lunedì 16 luglio 2012

PERCHE' I BAMBINI AFRICANI NON PIANGONO??? LETTERA DI UNA MADRE AFRICANA!


Per voi questa splendida testimonianza scritta da Claire sul sito ingleseInCultureParent. Una mamma africana, che vive da anni in inghilterra, racconta la sua esperienza dei primi 6 mesi di vita di sua figlia, alla riscoperta della saggezza dell’intuito nelle sue radici. Una lettura che fa riflettere e che ci lascia con una regola: il bimbo e’ il manuale di cui disponiamo per essere genitori.
***
Sono nata e cresciuta in Kenya e Costa d'Avorio fino all’età di 15 anni, poi mi sono trasferita nel Regno Unito. Tuttavia, ho sempre saputo che volevo crescere i miei figli (quando li avrei avuti) a casa in Kenya. Sì, davo per scontato che li avrei avuti.
Sono una donna africana moderna: con due lauree, appartengo alla quarta generazione di donne che lavorano, nella mia famiglia, - ma quando si tratta di bambini, sono un’africana tradizionale. Rimane in me la convinzione che la vita non sia completa senza figli e che i bambini sono una benedizione a cui è da folli rinunciare. Anzi, non avere figli non è neppure preso in considerazione.
La mia gravidanza iniziò nel Regno Unito. Con la gravidanza arrivò una tale spinta a tornare a casa, che al quinto mese avevo già venduto il mio studio, messo a punto una nuova attività, cambiato casa e continente.
Quando mi scoprii in attesa feci quello che la maggior parte donne incinte nel Regno Unito avrebbe fatto, divoravo libri: Our Babies, OurselvesAmarli senza se e senza ma, tutti i libri di W. Sears e l'elenco potrebbe continuare. (Mia nonna poi commentò che i bambini non leggono libri e che tutto quello che dovevo fare era "leggere" il mio bambino).
Tutto quello che leggevo diceva che i bambini africani piangono meno dei bambini europei. Questo mi incuriosì molto, volevo scoprire perchè.
Una volta a casa, in Kenia, mi misi ad osservare. Tendevo lo sguardo per vedere madri e bambini, ed erano ovunque, anche se i neonati africani sotto al mese e mezzo di vita rimanevano per lo più a casa.
La prima cosa che notai fu che, nonostante la loro ubiquità, era in realtà molto difficile "vedere" davvero un neonato keniano. Di solito sono incredibilmente ben avviluppati, prima di essere portati in braccio o fasciati sulla loro mamma (a volte il papà). Anche i più grandini, fasciati sulla schiena degli adulti, vengono ulteriormente protetti dall’esterno da un telo di grandi dimensioni. Saresti già fortunato a scorgere un arto, figuriamoci un occhietto o il naso. Il modo in cui vengono fasciati è come la replica di un utero. I bambini sono letteralmente imbozzolati in modo da essere protetti dallo stress del mondo esterno in cui sono giunti.
La seconda osservazione che fu chiara era legata ad un differenza culturale. Nel Regno Unito è dato per assunto che i bambini piangano, il pianto è connaturato al bambino. In Kenya, è esattamente il contrario: è dato per assunto che i bambini non piangono. Se lo fanno è segno di qualcosa di terribilmente sbagliato e occorre agire immediatamente per porre rimedio, rimuovere la causa. Mia cognata inglese una volta disse: "Alla gente qui non piace proprio che i bambini piangano, vero?”. Trovai che la sua osservazione riassumeva proprio bene questa differenza.
Tutto diventò molto più chiaro quando finalmente partorii e arrivò mia nonna dal villaggio a trovarmi. In effetti la mia bambina piangeva abbastanza spesso. Esasperata e stanca, dimenticai tutto quello che avevo mai letto e, a volte volevo piangere con lei. Ma per mia nonna era molto semplice: "Nyonyo!", “Dalle il tuo seno!”, era la sua risposta ad ogni singolo vagito.
C’erano momenti in cui era un pannolino bagnato, oppure in cui voleva venire in braccio, o aveva bisogno di fare un ruttino, ma per lo più voleva solo stare al seno – e non importava se voleva mangiare o se aveva solo bisogno di un momento di conforto. La indossavo, in fascia, praticamente sempre e facevamo co-sleeping (dormivamo insieme) così portarla spesso al seno era una naturale estensione di quello che già facevamo.
All'improvviso mi fu chiaro il segreto non così nascosto del silenzio gioioso di bambini africani.  Si trattava di una simbiosi fatta per soddisfare i bisogni. Una cosa che richiedeva una sospensione totale dell’idea di ciò che sarebbe dovuto essere, sostituita dall’accoglienza, senza condizionamenti, di ciò che stava realmente accadendo in quel momento.
Il risultato era che mia figlia poppava molto - molto più di quanto avessi mai letto e almeno cinque volte tanto quanto previsto da alcuni dei più rigorosi schemi di poppate che avevo visto.
A circa quattro mesi, quando un sacco di mamme di città iniziano ad introdurre i cibi solidi nel rispetto degli schemi di svezzamento, mia figlia tornò a un ritmo di suzione da neonato: la allattavo ogni ora, fu uno shock totale. Negli ultimi quattro mesi, il tempo tra le poppate aveva cominciato ad aumentare, fino a consentirmi di ricominciare a trattare qualche paziente senza che i miei seni perdessero latte o che la baby-sitter interrompesse la seduta perché la bimba aveva bisogno di una poppata.
La maggior parte delle mamme, nel gruppo madri-neonati che frequentavo, aveva diligentemente iniziato a introdurre la crema di riso (per allungare il tempo fra le poppate) e tutti i professionisti coinvolti nella vita dei nostri figli - pediatri, anche doule, dicevano che andava bene: le mamme avevano bisogno di riposo, avevamo già fatto davvero tanto arrivando a quattro mesi di allattamento esclusivo al seno. Ci assicurarono che i nostri bambini sarebbero stati  bene.
Tuttavia dentro di me sentivo qualcosa di stonato in questo, e anche quando provai, senza troppa convinzione, a mescolare un po’ di papaia (il cibo tradizionale per lo svezzamento in Kenya) con del latte in polvere e lo offrii a mia figlia, lei non ne prese neanche un po’.
Così chiamai mia nonna. Lei si mise a ridere e mi chiese se avevo ricominciato a leggere libri. Mi spiegò che l'allattamento al seno è tutt'altro che lineare.
"Ti dirà lei quando sarà pronta per il cibo – anche il suo corpo te lo dirà."
"Che cosa faccio fino ad allora?" chiesi ansiosa.
"Fai quello che hai fatto fin’ora, semplicemente nyonyo."
Così la mia vita rallentò di nuovo praticamente fermandosi. Mentre molti dei miei coetanei rimanevano meravigliati di come i loro figli dormivano più a lungo ora che avevano introdotto le creme di riso e addirittura si avventuravano su altri alimenti, io mi svegliavo ogni due ore con mia figlia e informavo i pazienti che il ritorno al lavoro non sarebbe stato come avevo previsto.
Presto scoprii che mi stavo trasformando, del tutto involontariamente, in un servizio di sostegno informale per altre mamme di città. Il mio numero di telefono cominciò a girare fra le mamme e spesso, mentre allattavo la mia bimba mi sentivo pronunciare le parole: "Sì, continua ad allattarlo. Sì, anche se lo hai appena allattato. Sì, succede che non riesci a trovare il tempo di toglierti il pigiama in tutta la giornata. Sì, hai bisogno di mangiare e bere come un cavallo. No, non è il caso di prendere in considerazione di tornare al lavoro se ti puoi permettere di non farlo." Infine, rassicuravo le mamme: "Stai tranquilla, poi diventa più facile." Su quest’ultima frase facevo una professione di fede, visto che per me le cose non erano ancora diventate più facili.
Una settimana prima che la mia bimba compisse cinque mesi, tornammo in Inghilterra  per un matrimonio e per presentarla a familiari e amici. Non avevo particolari esigenze e così fu semplice continuare a seguire i suoi schemi di poppata. Andavo avanti, nonostante gli sguardi sconcertati di molti stranieri per il fatto che allattavo mia figlia in luoghi pubblici vari (molti “spazi allattamento” in luoghi pubblici erano relegati nei bagni, e non riuscivo proprio ad usarli).
Al matrimonio, a tavola, le persone vicine a noi osservarono: "che bimba tanquilla – certo che l’allatti ancora tanto." Non dissi nulla, ma quando un'altra signora commentò: "Anche se ho letto da qualche parte che i bambini africani non piangono quasi mai." non potei trattenere una bella risata.
La cosa più importante che mi ha guidato è stata la saggezza dolce di mia nonna:
1. Offrile il seno ogni singolo volta che la bimba ha qualcosa che non va - anche se lo hai appena fatto.
2. Dormi insieme a lei (co-sleeping). Così puoi allattarla prima che lei si svegli del tutto e questo le consentirà di tornare a dormire più facilmente e potrai riposare di più.
3. Portare sempre con te una bottiglia di acqua la sera: per mantenerti idratata e far scorrere il latte.
4. Fai dell’allattamento la tua priorità (in particolare durante gli scatti di crescita) e prendi da quelli intorno a te tutto l’aiuto che puoi. E ricorda: c'è ben poco che non possa attendere.
Leggi il tuo bambino, non i libri. L'allattamento al seno non è lineare - va su e giù o è circolare. E ricorda: sei tu l'esperta dei bisogni di tua figlia.
Claire

domenica 15 luglio 2012

Diritti Civili: quello che penso!!


Su tale questione corriamo gravi rischi. Abbiamo detto che la laicità va difesa così come vanno difesi i diritti civili.
Personalmente, sono dell’opinione che la famiglia va difesa ma vanno anche difesi i diritti di tutte le minoranze (sessuali, religiose, culturali, etniche, “esistenziali”) a vivere in una più avanzata cittadinanza.
E’ arrivato il momento di attuare le politiche sociali che mancano per  la famiglia, la scuola, la sicurezza, la casa, il welfare e i giovani, ma bisogna capire che sarà tanto più possibile difendere i valori laici quanto più saranno affermati i valori sociali in modo che nessuno possa insinuare che dei valori prendano il posto di altri.
Quello che ci affligge oggi è il divario tra la grandezza delle nostre sfide e la piccolezza della nostra politica, la facilità con cui ci facciamo distrarre da cose insulse e triviali, il nostro cronico evitare decisioni difficili, la nostra apparente incapacità di costruire il consenso necessario ad affrontare i problemi importanti.  Spesso riteniamo la fede (qualsiasi essa sia) una fonte di conforto e comprensione ma le nostre espressioni di fede producono spesso divisioni.
Crediamo di essere persone tolleranti nonostante le tensioni razziali, religiose e culturali intorpidiscano il nostro scenario. E invece di risolvere queste tensioni o di mediare i conflitti, la nostra politica li ravviva, li sfrutta, li cavalca dividendoci di fatto ancora di più.
Quindi continuiamo a barricarci su posizioni oltranziste fino ad arrivare a dire che i cattolici favorevoli alla legge dell’aborto sono vicini alla scomunica,  o a presentare mozioni a favore di una o di un’altra manifestazione, continuiamo ipocritamente a difendere una famiglia che non è assolutamente minacciata da chi vuole, con estremo rispetto delle decisioni altrui, attribuire alle coppie di fatto diritti e doveri.
Troppo spesso la politica si trova indietro rispetto alla società, troppo spesso attuiamo difese fondamentaliste per chissà quale strategia politica perdendo di vista i veri bisogni e lo stato attuale della società moderna, e poi ci lamentiamo che la gente si allontana dalla nostra politica, che i cittadini non partecipano più, che la gente non si riconosce nelle istituzioni che rappresentiamo,  che i giovani preferiscono i gruppi ed i movimenti ai partiti.
Quindi smettiamola di imporre la nostra morale o quella dettata da qualsiasi altra istituzione, fissiamo delle regole, stabiliamo delle leggi, poniamo dei limiti, come ad esempio quello sulle adozioni, e poi lasciamo alla gente la libertà di scegliere se convivere, sposarsi civilmente, sposarsi in chiesa o dare vita ad un unione civile nel rispetto di tutti, nessuno escluso. Tuteliamo tutte le famiglie,  ogni forma di famiglia, ogni forma di unione senza dare vita a persone che si possano sentire figlie di un dio minore. 

Questa battaglia di civiltà deve andare di pari passo con quella sul diritto di cittadinanza. Bisogna riconoscere diritti e doveri che debbono essere uguali per chiunque nasca in Italia.  Dobbiamo essere contro la cittadinanza a punti che crea cittadini di serie A e di serie B. Il diritto di cittadinanza è un diritto assoluto e non può essere sottoposto a valutazioni e ad esami. Chi nasce in Italia è italiano e ha diritto a formazione, assistenza, lavoro. Chi viene in Italia da altri paesi deve essere accolto e aiutato a non cadere nelle mani della criminalità organizzata. Tutto il mondo è paese e se un extracomunitario viene in Italia per delinquere sarà la giustizia a giudicarlo e condannarlo così come per un italiano.
Siamo nel 2012 e anche il nostro paese deve evolversi per un vivere insieme in una comunità che, oggi, ha bisogno di più coesione sociale.
Valentina Spata


L'incapacità di amministrare: Ragusa rischia di perdere un evento mondiale, Ibla Gran Prize.



E' terminato il Gran Prize, un concorso musicale internazionale indetto a favore di compositori, pianisti, cantanti lirici, strumentisti italiani e stranieri. Un evento che a differenza degli anni scorsi, oggi vede la presenza di 2500 circa presenze in meno a causa dall'incompetenza di questa amministrazione comunale che non solo non ha dato il contributo economico ma nemmeno favorito l'esibirsi di tanti artisti internazionali e nazionali nelle piazze ma all'interno della sala Falcone - Borsellino. 
L'evento non è stato nemmeno pubblicizzato. Vorrei capire come intende questa amministrazione promuovere e favorire il turismo??? 
Il Sindaco Dipasquale afferma che in un periodo di crisi come questo non ci sono i soldi per favorire questi eventi. Io dico che è meglio spendere i soldi per eventi mondiali come questi che ogni hanno hanno visto la presenza di migliaia di turisti anzichè favorire 3 feste di carnevale, la fiera della frittella e altre cavolate pagate fior di quattrini. Ecco dove sta l'incapacità di amministrare una città!! Dal prossimo anno rischiamo di non poter ospitare questo evento nella nostra città barocca a causa del suo trasferimento a New York. La foto testimonia come nel giro di un anno siamo stati capaci di ridurre drasticamente le presenze, di lasciare delusi gli artisti costretti ad esibirsi in una sala antiquata, piccola e fatiscente (l'audio non funzionava bene, i condizionatori inesistenti) e soprattutto di far incavolare l'organizzatore che il prossimo anno ospiterà l'evento in un altro paese. Vergogna solo vergogna!!

Valentina Spata

Accordo UE Marocchino: colpisce duramente l'agricoltura italiana e siciliana.




E’ allarme sulle conseguenze dell'accordo commerciale siglato tra l'Unione Europea e il Marocco che "non interpreta le ragioni dell'agricoltura mediterranea ma piuttosto quelle delle lobby e delle grandi industrie del centro-nord europeo a danno dell'economia meridionale, siciliana e anche di quella marocchina. Il testo prevede l'apertura delle frontiere del Paese ad un'economia, quella marocchina, che non e' chiamata a rispettare le stesse regole in materia di scambi commerciali e di tutela della salute del consumatore, che, invece, devono rispettare gli operatori dei settori agricolo e ittico in Europa. Si tratta, quindi, di una sfida concorrenziale che si gioca con un netto vantaggio per l'avversario.
Sostanzialmente, alle importazioni di prodotti agricoli e ittici dal Marocco. Abbassando notevolmente i dazi, infatti, le merci dell’altra sponda del Mediterraneo saranno libere di arrivare sui nostri mercati. Il rischio, ovviamente, è che saremo invasi da tonnellate di agrumi marocchini, comperati a basso costo dai rivenditori, che invece noi continueremo a pagare come sempre. 
I voti a favore sono stati 369 voti, 225 contrari e 31 astensioni. Gli europarlamentari del PD favorevoli all’accordo sono stati: Salvatore Caronna, Leonardo Domenici, Roberto Gualtieri, Antonio Panzeri, Gianni Pittella, Debora Serracchiani, David Sassoli, Francesca Balzani, Luigi Berlinguer, Sergio Cofferati, Vittorio Prodi, Silvia Costa, Gianluca Susta, Patrizia Troia, Francesco De Angelis, Guido Milana; I contrari del Pd: Pino Arlacchi, Rosario  Crocetta e Mario Pirillo (corretto al termine delle votazioni, prima favorevole); Gli assenti del Pd: Rita Borsellino e Andrea Cozzolino.

Per Fepex, l'associazione degli esportatori spagnoli, il parlamento europeo non ha tenuto conto delle gravi conseguenze che l'attuale accordo provoca già nelle zone di produzione spagnole. Nel settore del pomodoro, quest'ultimo anno l'attuale accordo ha causato la perdita di 12.500 posti di lavoro nelle regioni Andalusia, Canarie, Valencía e Murcia, con tassi di disoccupazione superiori al 30%.
Fepex deplora il fatto che questa situazione sarà estesa ad altra frutta e verdura e ad altre regioni, dal momento che il nuovo accordo prevede la liberalizzazione del commercio di quasi tutta la frutta e la verdura proveniente dal Marocco.
Si tratta di un accordo squilibrato che colpisce duramente l’agricoltura italiana e siciliana in un contesto già particolarmente difficile dal punto di vista economico e sociale’.
Quello di cui non riesco a trovare spiegazione è il silenzio assordante della classe dirigente politica e soprattutto degli italiani. In Portogallo e Spagna ci sono state reazioni compatte contro il provvedimento votato, mentre in Italia siamo impegnati a pensare ad altro. Inoltre, non comprendo come il Partito Democratico, ovvero il mio partito, consapevole delle difficoltà che sta attraversando il settore agricolo, abbiano potuto votare a favore di un accordo scellerato come questo, considerato dannoso per i nostri agricoltori.  Le conseguenze per i produttori agricoli siciliani e del Mezzogiorno d'Italia saranno devastanti. 
Gli italiani, inviati in comunità europea e i rappresentanti attuali politici, non sembrano capaci di dire mai di “no” di fronte a proposte che vanno contro gli interessi del nostro Paese, creando situazioni che giovano agli altri e mai a noi. Ci vorrebbe anche una dose di sano “egoismo” che torni a mostrare una Nazione per quello che è realmente: indipendente, senza nulla togliere alle possibilità di scambio internazionale, ma nell’ottica anche di una salvaguardia locale dei tesori che già ci appartengono da secoli. 

Valentina Spata